Fabrizia RamondinoIntervista a
Fabrizia Ramondino
SAHARAWI
«Il mio incontro con gli uomini dimenticati»

(Valeria Parboni, "L’Unità", 17 maggio 1997)

Chi conosce il Fronte Polisario, la Rasd, i Saharawi? Chi rammenta la snervante, difficilr (e non ancora conclusa) battaglia per la liberazione nazionale di un popolo cacciato più di venti anni fa dalla propria terra (l’ex Sahara spagnolo) e costretto a vivere, profugo, nel deserto algerino?
Pochi, sicuramente.
Come pochi ormai hanno voglia di ricordare le risoluzioni dell’Onu che danno ragione alle richieste della popolazione: prima tra tutte quella di un referendum che avrebbe dovuto tenersi già nel ’91 e che non si è mai fatto per svariati motivi.
Non ultimi, i continui ostacoli frapposti dal Marocco che non ha fatto mai mistero di volersi annettere il ricco territorio.
Anche Fabrizia Ramondino, scrittrice e collaboratrice del regista Mario Martone (sua, tra l’altro la sceneggiatura del film Morte di un matematico napoletano) di questa tormentata vicenda ne sapeva poco.
E quando lo stesso Martone, che dall’Unicef e da Raiuno ha accettato l’incarico di realizzare un documentario sui bambini in questo luogo inospitale e rimosso dalla coscienza dell’Occidente, le ha proposto di seguirlo ha dvuto prendere in mano carte geografiche. Per «documentarsi», come lei stessa ammette.
C’era in ballo la sollecitazione dell’editore Gamberetti che aveva pensato di ricavare dal viaggio della troupe, un libro.
Una sorta di «diario di bordo».
Fabrizia Ramondino ne ha fatto qualcosa di più, finendo per dare alle stampe Saharawi. Un’astronave dimenticata nel deserto, per metà inchiesta giornalistica, per l’altra racconto denso d’emozione.

– Era mai stata nel deserto?
«No. E sul suo conto, devo dire, mi ero fatta delle idee sbagliate. Immaginavo un posto fatto di "niente" e di improvvise oasi miracolose. Vivendoci per venti giorni, ho dovuto ricredermi. Ho imparato che il deserto è, al contrario di quanto si possa supporre, super abitato: ci sono persone, animali, piante e uccelli. Quanto alle oasi non hanno niente di soprannaturale. Sono semplicemente opera dell’uomo. Ma quello che mi ha impressionato sono i fenomeni che il deserto produce: ottici, fisici, auditivi. Che solo la voce del muezzin, che pur essendo tanto distante da te, ti arriva distante e vicinissima. Oppure il miraggio che ti si presenta sotto la forma di un lago azzurro e che scompare proprio quando credi di toccare l’acqua. E poi la notte: scenario fantastico per altrettanti fantastici fenomeni di rifrazione. I sahrawi hanno saputo sfruttarli come strategia bellica durante il conflitto con i marocchini. Dalle trincee scavate ai piedi del muro innalzato dal nemico, grazie proprio a questo "specchio" naturale riuscivano a vedere lo schieramento avversario…».

– Nel suo libro narra di uomini e donne che, pur nelle asprezze dell’ambiente in cui sono costretti a vivere, hanno saputo darsi una forma moderna di organizzazione sociale. Se lo aspettava?
«Affatto. Certo, prima di metterci in viaggio avevo letto moltissimo sull’argomento. È mia abitudine farlo ogni volta che parto per paesi che non conosco. Una cosa però è avere una conoscenza a distanza, un’altra sperimentarla di persona. Per questo l’impatto è stato notevole».

– Cosa l’ha colpita di più?
«La loro capacità di non abbandonarsi all’assistenzialismo. Lo accettano, è chiaro. Però non si lasciano andare. Là nessuno è esonerato dal lavoro. Ci si impegnano con convinzione tanto che, con l’aiuto di agronomi europei, sono riusciti anche a realizzare opere notevolissime: come un sistema particolare di coltivazione, che è stato poi "copiato" in altre parti dell’Africa. Veri e propri orti tra la sabbia: non ci avrei mai creduto se non li avessi visti con i miei occhi. Ancora: si resta impressionati nel vedere il sistema di scolarizzazione che sono riusciti ad organizzare. Le scuole hanno i corridoi di sabbia, i muri sono tirati su alla meglio, con mattoni a secco… Si figuri, quando piove, (il che può sembrare strano ma ogni tanto succede) si sciolgono… Eppure, a dispetto di strutture fatiscenti, ogni bambino segue con regolarità le lezioni. È un sistema dove vigono radicati princìpi democratici. Ovviamente non si può parlare di eguaglianza, però il concetto di fondo è che a ciascuno deve essere assicurato il necessario. I saharawi sono musulmani ma non sono fondamentalisti. Questo spiega la visione della vita, la diversa interpretazione dei dettami della religione. Al versetto del Corano secondo cui un uomo può legittimamente avere anche quattro mogli, loro hanno aggiunto una postilla che recita così: "purché tu sia giusto e sappia amarle tutte contemporaneamente allo stesso modo". E dal momento che una tale eventualità si realizza in rarissimi casi, hanno introdotto il divorzio».

– Tornerebbe ancora laggiù?
«Sì, ma per un’inchiesta approfondita. Mai per turismo».

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Una risposta a

  1. anonimo ha detto:

    La dolcissima Fabrizia prestò la sua voce anche per questo piccolo documentario (La Grande Tenda, diario di un’accoglienza), una bella testionianza della sua grande umanità: http://www.ngvision.org/mediabase/633

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