Fabrizia RamondinoFabrizia Ramondino
Storie di patio
Einaudi, Torino 1983
pp. 217, Lire 12.000

quarta di copertina
di Natalia Ginzburg

Temi ricorrenti nella narrativa di Fabriza Ramondino, sono l’infanzia, l’emarginazione, l’esilio.
Pochi hanno come lei, il dono di raccontare l’infanzia.
È un’infanzia ripensata senza dolcezza, senza tenerezza e senza lagrime.
È un’infanzia forte, curiosa, sfrontata, severa nel giudizio, pronta a scegliere ciò che ama.
È un’infanzia pronta a mettere radici ovunque, ma tuttavia consapevole del fatto che le radici sono sempre fragili, che nei giorni più limpidi e solari si nascondono insidie, che ogni radioso paesaggio può di colpo sparire.
Chi ha letto il romanzo Althénopis, non ha dimenticato la sottile atmosfera di quelle lunghe stagioni infantili, che parevano eterne ma insieme sospese nella perenne attesa d’uno scompiglio, d’uno sgombero, d’una partenza, d’un prossimo esilio.
Storie di patio sono dieci racconti. In alcuni di essi s’incontra la medesima bambina di Althénopis, o una simile a lei. Essa scruta l’universo con il suo sguardo nero e pungente, scruta padre e madre e ne  indovina le incertezze, le debolezze, i disordini, gli errori. Qui lo sfondo è un villaggio spagnolo, villette, giardini, i cortili dei servi. La famiglia del diplomatico italiano che qui risiede, presto dovrà partire per una nuova destinazione. La guerra è vicina e forse è prossimo il loro ritorno in Italia.  Difatti quel paesaggio scompare così com’era a un tratto scomparsa l’amata serva Dida, licenziata dalla madre per furto.  Si susseguono luoghi nuovi e occorre mettere nuove radici, intrecciare nuove amicizie, cercare oggetti ed esseri che siano degni di amore e di odio.  Altri racconti hanno come sfondo Napoli, vecchie case offese dalla guerra, dove s’ammassano famiglie venute da luoghi diversi e cariche di progetti confusi e incerti.
Gli esiliati, nel mondo di Fabrizia Ramondino, non hanno né memoria, né lagrime. Il passato alle loro spalle è troppo sterminato e pesante per poterlo evocare e piangere. Essi s’aggrappano con forza al presente, vi intrecciano rapporti che pure sano effimeri. Non cercano la quiete o la felicità ma qualcosa di più ricco e prezioso. Vivono ogni loro istante quasi portasse racchiuso, come una perla nell’ostrica, il bene supremo, la conoscenza del vero.

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