Amelia Rosselli80 anni fa
la nascita
di Amelia Rosselli
Parigi, 28 marzo 1930

AMELIA  ROSSELLIAmelia Rosselli
Amelia,
la braccata
del Novecento
Una pugnace italianista di California
traduce in inglese le sue
«Variazioni belliche»;
A. Baldacci scrive su di lei
la prima monografia,
all’insegna di un tragico senza catarsi
di Andrea Cortellessa
Andrea Cortellessa(il manifestoalias,
n. 6, 11 febbraio 2006)

Dieci anni fa, l’11 febbraio 1996, Amelia Rosselli si gettava da una finestra del suo appartamento romano. Esattamente trentatré anni dopo il suicidio di un’autrice da lei tradotta e studiata, Sylvia Plath. Da quindici anni non scriveva un verso. A Sandra Petrignani, nel ’78, aveva detto: «Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo: quando sai come è fatto forse non hai più bisogno di scrivere. Per questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi». E aveva aggiunto: «Non mi riconosco più scrittrice da cinque anni. Non sento di avere talento, ora. È come non riuscire a parlare una lingua. È terribile».

Nelle straordinarie poesie in inglese di Sleep, le quali attendono un’edizione che completi l’eroica versione di Emmanuela Tandello (Garzanti 1992), due espressioni vulnerano per l’imperdonabilità, l’irreparabilità. «Hell, loomed out / with perfect hands» (‘l’inferno, tessuto / da mani perfette’): bisogna sentirlo dalla voce di Amelia, questo distico, per capirne la dolcezza ironica, la letizia interrogativa con la quale pronunciava, per sé, questa condanna senza appello (e si capirà meglio la dialettica stritolante in lei innescata dall’inesauribile ricerca di una forma – mostrata da quel saggio, Spazi metrici, che volle allegare al libro d’esordio Variazioni belliche -: cella-rifugio in cui cercare riparo ma, al contempo, trappola-prigione della quale soffrire il soffocamento). Un altro componimento, che inizia «we have newly learned to sin, to sing» (‘l’abbiamo nuovamente imparato a peccare, a cantare’: il pun tra sin e sing la dice lunga sull’intraducibilità di questa poesia), ospita un’immagine di quelle che, la prima volta che le incontri, sai con certezza t’inseguiranno per sempre: «with the hatchet behind our / shoulders» (‘con l’ascia dietro le nostre / spalle’). Anche qui è dato sospettare un’ambivalenza: l’ascia, per la lettrice di Kafka, è anche la scrittura con cui «spezzare il mare di ghiaccio dentro di noi». Ma, a leggere di concerto le coeve Variazioni belliche, l’immagine rinvia piuttosto a un circuito (pur esso kafkiano, certo) di febbrile persecuzione, minaccia permanente, angoscia distillata.

1) continua…

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Una risposta a

  1. tolstoj76 ha detto:

    mi hai ricordato fuoco fatuo di la rochelle… ma credo valga la pena continuare… anche se non c’è una ragione davvero importante per farlo; se non altro in nome dell’unicità dell’occasione concessa… e forse è indispensabile alimentare quel filo di speranza dietro cui si nasconde la possibilità di stupirsi sempre… anche quando tutto è perduto

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